A te navigante...

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mercoledì 11 marzo 2015

Rewind

Vincenzo Gemito - La zingara


Questo racconto ha vinto il Primo Trofeo Murialdo 2016


I pendenti, la prima cosa che si nota di lei. Due lunghi pendenti d'oro, fuori moda, senza tempo. Sembrano due antiche monete incastonate, raffigurano due teste femminili. Oscillano, si agitano quelle teste, non trovano pace e ti osservano immobili da ere lontane. Luccicano quando catturano la luce.
Lei, Ljuba, li indossa con noncuranza, ha dimenticato di averli, se non fosse per il solletico che le fanno ai lati del volto. Glieli ha donati sua madre e se li tramandano da generazioni. Da piccola le avevano fatto i buchi alle orecchie, sua madre e la vecchia Vania e lei aveva pianto per il dolore ma poi le avevano messo due piccole perle e le era sembrato di essere una principessa.
Una principessa dal moccio al naso e dal musetto rigato di lacrime e sporco.
La metropolitana parte strattonando con forza le persone aggrappate ad ogni possibile sostegno.
Il vagone è stipato, una scatola di latta in cui si pigiano uomini come sardine.
Ljuba è fortunata, è seduta. Ai lati due passeggeri che cercano d'ignorarla infastiditi. Concentrati sugli schermi dei loro telefonini, a testa bassa. Le porte del convoglio si chiudono sbuffando, stufe delle troppe persone che cercano di entrare spintonando e provano a bloccarle.
E' molto bella Liuba, ha l'età in cui una donna emana una luce particolare. Giovane, se non giovanissima. Siede composta cercando di non disturbare, facendosi ancora più minuta. Indossa dei jeans dagli strappi alla moda ma un cardigan liso, con una pelliccia sintetica tutta arruffata attorno al collo. 
Tiene gli occhi bassi, ma gira spesso la testa nei due lati, guardando di sottecchi gli altri passeggeri e i pendenti la seguono.
Tiene i bottoni slacciati sul seno, piccolo, acerbo che è racchiuso in un reggiseno color nocciola. Una scollatura profonda portata con noncuranza ma forse con un pizzico di malizia.
Nessuno però si sofferma a guardarla.  Se non fosse quello che è, dovrebbe scansare gli sguardi maliziosi degli uomini. 
Sulle sue ginocchia siede un bimbo addormentato, avvolto in una tutina dalla forma di orsetto, dal colore indefinito per i troppi lavaggi. Di lui si notano soltanto le manine, poggiate su quel seno. È fermo, immobile, profondamente addormentato. Si immagina di sesso maschile, per la forma della tutina ma forse è una bimba.
La giovanissima madre ha i capelli raccolti sopra la nuca e tenuti fermi da un fermaglio con finto corallo rosa, un vezzo, un abbinamento di colore, con il cardigan liso, un piccolo tocco femminile.
Quello che colpisce sono gli occhi. Grandi in un volto quasi infantile. Una bimba già madre.
Occhi tristi dallo sguardo addolorato. Li tiene bassi, ma ogni tanto in un piccolo barlume  li risveglia fissandoli  su qualcuno. Ha tratti somatici rom e sa di non essere gradita. 
Le porte si richiudono, ancora. 

Rewind

Liuba e Mirko corrono tenendosi per mano, giocano tra i rifiuti e lo sporco del campo. Le donne fanno quello che possono e nei fatiscenti alloggi la vita è quasi impossibile. Scoppiano liti tra loro, per i figli ma soprattutto per i mariti, sempre ubriachi. Animali che non riescono a vivere nel ristretto habitat.
Ogni tanto passano le autorità gagè e li obbligano a mandare a scuola i ragazzini. Vogliono che siano lavati e puliti e vestiti decenti. I figli dei gagé li scansano, dicono che puzzano, che non si lavano e non vogliono dividere con loro il banco.
“Non li vogliamo qui, rubano!” E protestano, fanno scioperi. Le madri rom se ne infischiano, a loro non importa di mandare a scuola i ragazzini, non sanno leggere neanche loro. Li mandano a mendicare è quello che si è sempre fatto.
Anche Mirko e Ljuba lo fanno, nelle stazioni della metropolitana, dove passano i turisti, allungano la mano con fare da commedianti. Sono però ragazzini e si distraggono, ridono e giocano ma poi tornano alla loro occupazione, indossando immediatamente la maschera addolorata, altrimenti sono botte.
Qualche volte i vigili vengono a prelevarli e li fanno andare a scuola, e lì si sta davvero male. Non ci si muove, non si può parlare. Due giorni e di nuovo in strada a mendicare è questa la loro vita di bambini.
Crescono insieme e sono inseparabili benché le loro madri non facciano altro che rimbeccarsi per ogni piccola questione. Sarà perché vivono gomito a gomito, sarà perché manca l'acqua, sarà perché i loro uomini sono violenti e le picchiano spesso. Prendersela l'una con l'altra è l'unico sfogo.
Donne sottomesse, ladruncole e mendicanti per sopravvivenza, per tradizione, donne di uomini prepotenti e padroni.
Ljuba è troppo piccola per capire, sogna l'amore come tutte le adolescenti. Lei ama Mirko e spera che un giorno lui la sposerà chiedendola in moglie alla sua famiglia. Sogna la cerimonia piena di musica e balli. Sogna di dargli dei figli.
Mirko si è fatto timido, guardarla lo scombussola, la scansa brusco, non vuole più stare con lei. Lei piange non ne capisce il motivo.
Forse è innamorato di un'altra. Piange Ljuba ma non lo fa vedere quando i loro sguardi di incontrano ed è sempre lui ad abbassare gli occhi, a volte arrossisce ma Ljuba non se ne accorge è troppo concentrata nel capire quale sia la sua rivale.
È quella strega di Nenna? Dai capelli rossi tinti di fuoco? Oppure la bruna e procace Velia?
Mirko al solo guardarla si sente venire meno e  per questo abbassa lo sguardo, per questo la evita. Non può chiederla in moglie, non può. Non ha i soldi, la cifra che vuole la famiglia di lei per cederla è fuori della sua portata e poi appartiene al suo gruppo e non la si può chiedere in moglie è contro le regole. Soffre e si dispera in un silenzio stizzito e orgoglioso.
Ha quindici anni Ljuba ed è ora che diventi moglie. Suo padre ha ricevuto gli “ambasciatori” di  una potente famiglia di un altro campo, la bellezza di Ljuba ha incantato il figlio del capo clan.
Gli offrono molto, una cifra che il vecchio non ha mai visto in vita sua e senza chiedere l'assenso della ragazza, come sarebbe consuetudine, acconsente.
Si organizza la serenata che il futuro sposo farà fare per la ragazza e poi offrirle l'anello.
Lei non vorrebbe sposare un uomo col doppio della sua età, rozzo e per giunta non bello quanto Mirko.
S'impunta, prova a ribellarsi ma viene picchiata a cinghiate dal padre e non può fare nulla.
La festa dura due giorni. Le donne hanno cucinato tanto e la tavolata è grande. Ljuba indossa l'abito  più bello che si sia mai visto nel campo. Ha i lunghi pendenti d'oro che le adornano il volto, il dono di sua madre per le nozze. Anche Mirko partecipa alla festa e suona una struggente musica con la fisarmonica. Suona per lei soltanto ma non lo sa nessuno, è l'addio e mentre suona contrae la mascella per non piangere. Non si dovranno più incontrare.
Poi gli sposi si appartano e fuori tutti applaudono.
Lei trema nel togliersi i vestiti. Lui la strattona e la sbatte a terra, glieli strappa di dosso, la sovrasta col suo peso, la immobilizza con le enormi mani. Lei piange in silenzio, l'alito di lui olezza d'alcol, lei gira la testa per scansarsi. Lui la prende con la forza. Lei urla cerca di reagire ma non può.
Lui la picchia, ormai è sua proprietà, l'ha pagata ed è sua moglie. Deve ubbidirgli, non può aprire bocca, che badi alla casa e partorisca i figli. Più ne farà e meglio sarà per lei. 
Mesi dopo nasce Lorena, la sua prima figlia e un anno dopo Mirko, il suo primo maschio. 
Lui la manda a mendicare per strada, sulle metropolitane con il neonato attaccato al seno e la sera la picchia, così, per far vedere chi è il padrone, non cerca neanche un pretesto.
Ljuba non piange più, non pensa più a Mirko, non sogna più. Le rimane soltanto una profonda tristezza dipinta sul viso.

La metropolitana parte strattonando con forza le persone aggrappate ad ogni possibile sostegno.
Il vagone è stipato, una scatola di latta in cui si pigiano uomini come sardine.
Liuba siede con uno dei figli in braccio. Gli occhi sembrano due laghi profondi senza fondo, senza speranza.

Rewind

Un mattino i vigili vennero a prenderla. Sua madre inveiva contro di loro nella sua lingua, che essi non capivano. La portarono a scuola. Quel giorno Mirko si era nascosto e non lo trovarono. Sapevano quanti erano i ragazzini nel campo ma non stettero a perdere tempo.
La fecero salire su un pulmino e la portarono a scuola. La maestra, prima di farla entrare la fece lavare in bagno, almeno il viso e le mani, disse.
La misero a sedere sola in un banco, gli altri ragazzini non volevano parlare con lei. 
Lei voleva stare con Mirko e odiava stare lì. Teneva gli occhi bassi per non attirare l'attenzione.
Gli altri sapevano già leggere e lei non capiva nulla, però le piaceva quello che la maestra stava raccontando. Parlava di popoli antichi, di guerre e personaggi che non c'erano più.
Era meglio che mendicare anche se Mirko le mancava.
Per un po' di giorni vennero a prenderla e lei andava volentieri a scuola. Il difficile era fare i compiti, faticava a scrivere. Gli altri compagni la presero per una ritardata e la schermivano emarginandola ancora di più. A lei però non importava, le piaceva imparare.
A casa, cercava di raccontare alla madre le storie della maestra ma quella si adirava e le tirava addosso gli oggetti che aveva vicino. Devi andare per strada, i soldi servono, le urlava. Gridava nella sua lingua che la scuola è una sciocchezza dei gagé.
A volte diceva di essere andata a mendicare e Mirko la copriva, le dava parte dei soldi che aveva rimediato. Le prendevano tutti e due per gli scarsi incassi, ma lei  poteva andare a scuola e imparò in fretta quello che i compagni avevano già imparato. Fece amicizia con Clelia, con tanta diffidenza da parte di entrambe. Inizialmente si detestavano poi però, i ragazzini alla fine dimenticano le cattiverie adulte e divennero compagne di banco.
Clelia l'aiutava in classe, quando Ljuba stentava a capire. A casa non studiava mai, non glielo permettevano. A volte lo faceva di notte. Il suo sogno più grande era di poter frequentare la scuola media e magari in un futuro anche le superiori. Con l'istruzione si apre la mente, si va lontano, le diceva la maestra per invogliarla a frequentare. Studiare le piaceva molto.
La sera, a luci spente, sognava ad occhi aperti. Immaginava di diventare avvocato, di essere una dei pochi rom che si era emancipata. Avrebbe difeso quelli della sua razza che non avevano gli strumenti per capire. Sognava ma i sogni si ruppero in tanti piccoli frammenti di cristallo.
S'innamorò di Mirko, ma lui non la chiese in  moglie e le fecero sposare un rozzo violento con il doppio dei suoi anni.
Ljuba siede con il terzo figlio in braccio. Ha un livido sullo zigomo sinistro,  apre due bottoni del cardigan liso, color corallo. S'intravede un seno piccolo dentro un reggiseno color nocciola. Attacca il bimbo al seno, in gesto naturale ma crea scandalo. La gente distoglie lo sguardo nel vagone stipato, una scatola di latta in cui si pigiano uomini come sardine.
Lei gira la testa e poi l'abbassa fissando il volto del figlio che succhia vorace.  Uno dei pendenti manda un bagliore, l'altro tintinna.
Alza lo sguardo e i suoi occhi esprimono una profonda tristezza celata in volto plasmato dalla durezza della vita.
La metropolitana parte strattonando con forza le persone aggrappate ad ogni possibile sostegno.

Rewind

Lo guarda da lontano Mirko, fingendo di leggere. Ha tra le mani un libro rubato.  Nessuno al campo legge libri. Lei li nasconde per non incappare nelle ire materne. Il libro questa volta lo tiene al contrario, non se ne è accorta. Il cuore le batte all'impazzata. Mirko è bellissimo, con i capelli neri ricci, con gli occhi che sembrano due carboni. Ogni volta che lo guarda sente un brivido lungo la schiena. È alto, più alto di lei di almeno due spanne. E dire che neanche un anno fa era lei la più alta tra i due. 
Le passa davanti in compagnia di un suo amico. Suonano entrambi la fisarmonica, sono bravi a tenere il tempo. Lo fanno anche nelle stazioni della metropolitana, sui convogli. Ora Ljuba e Mirko non vanno più insieme.
Lei tenta di sorridergli, lui imbronciato abbassa lo sguardo e spavaldo prosegue fingendo di non vederla.
A Ljuba si ferma il cuore per un attimo. Le lacrime le premono per uscire ma lei tira indietro la testa con fierezza e le ricaccia da dove erano venute.
Nei libri che legge, la gente abita nelle case di mattoni. Lei sogna di averne una col giardino, con le rose rosse e bianche.
Si vede intenta a cucire tende per le finestre,  a lucidare i pavimenti, a fare biscotti profumati di vaniglia.
I bambini attorno al tavolo e Mirko che entra e le sorride baciandola sulla guancia. Le racconta come ha passato la giornata, l'abbraccia e la loda per i suoi manicaretti.
Le hanno insegnato a fare la moglie e la madre e questo sogna Ljuba ma lo sogna come una gagé. Si immagina di accompagnare i figli a scuola e quei figli sono come gli altri bambini, hanno amici che vengono a trovarli.
Sogna di avere un bagno con tanta acqua calda e dei letti soffici. 
Torna per un attimo ai sogni di bambina e ricorda i suoi progetti di studio, ora sfumati via.
Sua madre la chiama e il libro cade a terra imbrattandosi di fango.
Lo nasconde dietro prima che sua madre lo veda.
Tuo padre vuole parlarti, le dice rabbuiata in volto.
Ljuba sa che quell'espressione non presagisce nulla di nuovo.
A testa bassa attende che suo padre le dica quello per cui l'ha mandata a chiamare.
Lui parla in tono autoritario, le dice che dovrà sposarsi, che ormai è tempo e lui non la può sfamare oltre.
Lei impallidisce e pensa intensamente a Mirko. Non può essere, lei non vuole altri all'infuori di lui.
Suo padre non le lascia speranze, non le ha chiesto il suo parere glielo ha ordinato.
Ljuba è piena di rabbia e grida che non vuole sposarsi.
Suo padre le molla un ceffone per tutta risposta. Tra le lacrime, orgogliosa lei dice di amare un altro, che non ha mai visto il suo futuro sposo e non gliele importa nulla.
Il padre si sfila la cinghia e la picchia lasciandola senza fiato. Non le chiede di chi sia innamorata, non è cosa che gli interessi. Deve obbedirgli o saranno guai.
La madre cerca di farla ragionare, le dice che è sempre stato così che anche lei ha dovuto sposare un uomo che non conosceva e per giunta violento.
Sua madre, una donna di non più di quarant'anni sfiorita, che ne dimostra almeno sessanta, inacidita, rancorosa. 
Ljuba la guarda e piange disperata, non vuole diventare come lei.
Suo padre la rinchiude nella roulotte. Non la fa uscire e non le fa incontrare nessuno. Neanche sua moglie può avvicinare la figlia.
Ljuba capisce di non avere speranze e acconsente alle nozze.
Addio Mirko, pensa, con il cuore che le si lacera in petto.
Addio ai suoi sogni, addio alle sue speranze e addio al suo amore.
Mentre avanza agghindata per le nozze nel suo sguardo si fissa una tristezza senza fine.

La metropolitana parte strattonando con forza le persone aggrappate ad ogni possibile sostegno.
Non si guardano, non si sfiorano. La scansano con stizza, si voltano alla sua mano tesa. Suo figlio fa  un sorriso sdentato e lei con fastidio, lo riattacca al seno.
Gli occhi di Ljuba sembrano due laghi profondi senza speranza, fissano un punto ma non sanno più cosa cercare.


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