A te navigante...

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sabato 21 gennaio 2012

Il pensiero


Pubblicato il 28.2.2009 su Splinder

E’ l’alba di un nuovo giorno. Il sole si è appena stiracchiato e allargando i suoi raggi, avvolge tutto nel suo abbraccio caloroso.
Corrado, pensionato di pubblica amministrazione, classe 1931, si accinge ad aprire la finestra della sua camera da letto.
Sono le sei di mattina, e lui come tutti i giorni, da anni ed anni, continua ad alzarsi all’alba.
A causa dell’età, le sue ore di sonno si sono ridotte, era già da un po’ che si rigirava nel letto, insonne, con lo sguardo alla sveglia, in attesa del suono liberatorio.
Perché si ostinasse ad aspettare il suono della sveglia, neanche lui lo sapeva più. Un flebile attaccamento a quella che era stata la sua vita passata, piatta, scandita dall’orario del suo noioso e ripetitivo lavoro.
Corrado, come tutte le mattine, strusciando un po’ rugginosamente le ciabatte sul pavimento, si avviò in cucina verso il frigorifero.
Il suo primo gesto, non fu aprirne lo sportello ma guardare il tappeto di foglietti gialli autoadesivi, attaccati sopra, alcuni retti da piccoli magneti di città europee, che i suoi nipotini gli avevano regalato al ritorno dalle vacanze e che non vedeva ormai più da almeno un mese.
Strinse gli occhi per metterne a fuoco la scrittura. Si decise poi di cercare gli occhiali, che come sempre, dimenticava in giro per casa e come sempre non ricordava dove.
- Dove li avrò messi? – Esclamò, un attimo prima di avvistarli, lì, sul comodino, dove li aveva lasciati la sera prima, quando, preso dal sonno, anche il libro che aveva appena cominciato, era scivolato ai piedi del letto, così, aperto su una pagina a caso.
Li inforcò e si diresse di nuovo col passo incerto della sua età, in cucina.
Vediamo quali appuntamenti ho oggi, pensò, mentre scorreva la lunga lista di bigliettini.
- Alle dieci meno un quarto, appuntamento dal dentista! – Lesse sussurrando tra sé e sé. La sua dentiera, non era più tanto stabile, gli causava dolori e problemi alla masticazione. Aveva, così, fissato un appuntamento col dentista e meticolosamente se l’era appuntato.
Continuò a scorrere i bigliettini, scovando quello che gli avrebbe dovuto ricordare che nel pomeriggio, c’era l’incontro per il torneo di bocce al circolo degli anziani.
Solo dopo, Corrado, aprì lo sportello del frigorifero e prese il cartone del latte.
Lo studio del dottor Spinelli, si trovava qualche isolato più a sud del suo. Lo aveva scelto vicino, perché non si sentiva più tanto sicuro di uscire dal suo quartiere. Ogni volta che accendeva la tv, per seguire il telegiornale, c’erano una sfilza di scippi, pestaggi e rapine ai danni di anziani, snocciolati dallo speaker come fossero i grani di un rosario, detti con voce concitata, ma sempre le stesse notizie. Corrado si era ormai convinto, che la città attorno alla bolla sicura del suo quartiere, fosse un mondo cattivo ed ostile. Non più la città tranquilla, che aleggiava nei suoi ricordi edulcorati di vecchio.
- Signor, Corrado, cosa mi racconta oggi? – Disse il dottor Spinelli per metterlo a suo agio.
- Cosa vuole che le dica dottore… - iniziò lui, come al solito, snocciolando tutta la serie dei suoi acciacchi. L’artrosi alle gambe, che lo faceva camminare con fatica ed incertezza, la vista che calava, l’udito un po’ affievolito e per ultimo, alla fine, si ricordò del perché era lì: la sua dentiera.
Il dottor Spinelli, fingeva di ascoltarlo, annuendo con la testa, in realtà abituato ai suoi clienti anziani e ai loro discorsi sempre uguali, scriveva sulla cartella del paziente, Corrado Gentiloni, l’estratto di tutto quel lungo parlottare.
Alla fine della seduta, con il sorriso un po’ tirato, dovuto ad una gentilezza professionale, il dottor Spinelli, stringendo la mano a Corrado, si accomiatò con un: mi faccia sapere, seguito immediatamente dalla chiusura della porta, che lasciò il povero signor Corrado con la frase in bocca, assieme al sapore di disinfettante.
- Oh, e adesso mi sono tolto questo pensiero! – Esclamò a voce alta, mentre attraversava la strada.
Corrado, passava la sua giornata solitaria, tra i ricordi di una vita e l’impegno successivo, che scandiva il trascorrere delle ore.
L’acqua bolliva sul fuoco, e lui col pensiero, andò ad anni lontani, quando finito l’orario di ufficio, rincasava verso le due e trovava la tavola imbandita, la pasta appena scolata e calda e suoi due figli, già seduti attorno alla tavola che gridavano: papà, papà!
Una lacrima involontaria gli scivolò sulla guancia, andando ad incanalarsi nella ruga profonda ai lati della bocca e gli finì tra le labbra il sapore salato.
Ormai era rimasto solo, vedovo già da alcuni anni. I figli che lo acclamavano festanti da bambini, inariditi dal gravare della vita, avevano accantonato la sua presenza a qualche pranzo domenicale e sporadiche telefonate, nelle quali, fingendo di interessarsi a lui, non vedevano l’ora di tagliare la conversazione, quando lui cercava di parlare dei suoi acciacchi, felici però, di aver tacitato la loro coscienza con quella chiamata.
Gli acciacchi erano la sola cosa di cui Corrado parlava. Il suo modo di tendere la mano per cercare un contatto umano e lenire la sua abissale solitudine. Si sentiva ormai una cosa inutile, spremuta la sua efficienza fino all’ultima goccia, negli anni migliori, ora era un po’ una buccia di limone da gettare, così pensava, nei momenti di solitario sconforto. Si accorgeva, che benché tentasse disperatamente di avere anche un breve contatto umano, nessuno aveva più voglia di stare ad ascoltarlo, nessuno gli prestava attenzione. I suoi acciacchi, alcuni dovuti inevitabilmente all’età, si ingrandivano e da argomento di conversazione, si incuneavano nel suo corpo, diventando parte di lui, come tentacoli che lo soffocavano. Somatizzava, verbo usato a proposito o sproposito dai medici che invariabilmente andava a consultare.
Le sue notti trascorrevano nell’insonnia dell’età, passava le ore a cercare malattie da curare. Un modo per esorcizzare la morte, che inevitabilmente gli si avvicinava con passo felpato. Era per questo che il portello del suo frigo, straripava di biglietti su cui appuntava gli orari dei suoi pellegrinaggi negli studi medici.
Una fila interminabile, all’ufficio postale. Pensionati come lui, seduti sulle panche in attesa della chiamata, inveivano contro lo Stato, il tempo sempre inclemente e gli acciacchi dell’età. Qualcuno, cominciava a gridare contro l’ignaro impiegato, perché non era abbastanza veloce. Quello allora, perdendo l’ultimo briciolo di pazienza, dopo una lunga giornata, passata al pubblico, rispondeva con tono sprezzante e cinico: - E che avrete mai da fare? Vi resta ormai poco da aspettare! – Quest’ultima frase, però la sussurrava tra i denti, preso da un lieve rimorso.
Corrado nel primo pomeriggio, era riuscito finalmente ad avere la sua pensione, che spesso non lo faceva arrivare alla fine del mese. Dopo anni di lavoro, passato negli archivi polverosi, ora tutto quello che gli rimaneva nelle mani, erano un misero fascio di banconote, che lui gelosamente e con circospezione, riponeva nel portafoglio, guardandosi sospettoso intorno, prima di uscire dall’ufficio postale.
-  Oh, adesso mi sono tolto anche questo pensiero! – Passando con la mente però già a quello successivo.
L’ansia di vivere a volte, gli stringeva così la gola, tanto da soffocarlo. Allora non bastava più pensare all’impegno successivo. Gli venivano davanti svolazzando come falene impazzite, tutti i bigliettini incollati sul frigorifero, con tutti gli impegni e gli appuntamenti e lui veniva preso dal panico.
- Non ce la faccio più con tutti questi medici! – Esclamava al telefono, parlando con Giovanni suo figlio maggiore.
- Papà, ma stai discretamente bene, perché ti ostini a cercare malattie che non hai? – Rispondeva spazientito, il figlio, non comprendendo il grande disagio, che si celava dietro, forse volendolo vigliaccamente ignorare.
Un mattino come tanti, quando il sole stava stiracchiando i suoi tiepidi raggi, all’alba come sempre, Corrado, invece di trascinare le sue ciabatte davanti al portello del frigo, prese l’ennesimo bigliettino giallo. Cercò una penna che avesse ancora dell’inchiostro, si sedette sulla sedia in cucina, con calma, ogni gesto lento, ritmato dal trascorrere dei minuti e scrisse.
Poi, sempre con una lentezza esasperante, si stese nuovamente sul letto.
Lo trovarono i vigili del fuoco, chiamati da un vicino, allarmato dalla sua assenza. Erano trascorsi vari giorni. Accanto al corpo un biglietto giallo, scritto nel suo dialetto: Mo’ me’ so’ levato pure sto’  penziero! 


Questo racconto ha vinto il premio S. Leonardo Murialdo X edizione 2010

Questa opera è tutelata secondo le  condizioni previste da questa licenza creativecommons

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