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venerdì 23 marzo 2012

Il contabile del tempo



Pubblicato su Splinder il 24.3.2011

Si trovava all’angolo di una stradina stretta e quasi invisibile, la botteguccia dell’orologiaio.
Era lì da cinquant’anni, aperta dal vecchio artigiano, nato in Austria e per questo soprannominato il crucco, dagli abitanti del paese.
Il vecchio, tutte le mattine, sorreggendosi sul bastone,  percorreva la via principale, svoltava nella stradina e apriva la serranda. Sempre lo stesso tragitto alla stessa ora, fin da quando era giunto lì, giovinetto senza arte né parte. Era stato apprendista del suo predecessore e da lui aveva ereditato l’attività.
Dentro la bottega, dietro un banchetto, completamente ricoperto di meccanismi: bilanceri, viti, cacciaviti minuscoli, scompariva il vecchio, intento ad aggiustare qualche antico orologio, dal tempo fissato nell’attimo della rottura.
Sulle pareti, erano appesi improbabili orologi a cucù, in attesa del loro turno che scandivano l’ora in momenti diversi l’uno dall’altro.  Una pendola, grande e imponente, sembrava a disagio nel negozietto, abituata a grandi saloni, dava l’impressione di stringersi nelle spalle per prendere meno spazio. Segnava le ore con un cupo tono basso, quasi un colpo di tosse a lungo trattenuto, anche lei segnata dall’età.
La vetrina era ampia, sopra ai ripiani, erano state messe in bella mostra, le creazioni del vecchio. Orologi che lui costruiva con i pezzi di ricambio che si divertiva ad assemblare, in contenitori che poco avevano a che fare con lo scandire del tempo.
Un’antica caffettiera panciuta e logora, era tornata a nuova vita con il suo bel quadrante, posto lì, dove un tempo, bolliva il profumato caffè.
Le sfere giravano, lenta quella delle ore, quasi si volesse fermare un po’ a riprendere fiato,come il vecchio, che s’aggrappava ai suoi orologi per rallentare l’inevitabile. Svelta correva la sfera dei secondi, sottile asticella, scattante e nervosa, inseguiva il futuro senza riuscire mai ad acchiapparlo. In mezzo la sfera dei minuti che gustava attimo, per attimo, l’attraversamento del presente.
Quadranti di orologi erano stati incastonati nei più disparati oggetti. L’arte del vecchio era poco compresa, il “crucco” era considerato eccentrico e un po’ pazzo. Gli portavano, però, i loro vecchi meccanismi da aggiustare,  andati fuori di sfera.
Lui, dietro il banco, indossava due occhialetti, tenuti sul naso da una stretta pinza e mezze maniche nere. Il vecchio si considerava un contabile del tempo.
I suoi clienti abituali, con in quali aveva instaurato un rapporto di fiducia, erano il lattaio del paese, il banchiere Giudobaldo, che andava a far regolare gli orologi della sua filiale affinché segnassero tutti la stessa ora. C’era la signora Luciana, la modista che ogni tanto gli mandava qualcuna delle sue clienti. La levatrice, il cui orologio segnava la venuta al mondo dei nuovi nati, il parroco che doveva regolare le messe e il suono delle campane.
Un giorno scese in paese il principe di Roccagorgona. Si vedeva raramente in valle, sempre chiuso nella sua ricca dimora in cima alla rocca, che dominava tutto il paesaggio.
La sua famiglia era d’antiche origini, si narrava che risalisse ai tempi del Rinascimento e che nel suo castello, avessero sostato nei tempi andati, artisti e poeti dell’epoca. Sembra che persino il grande Leonardo da Vinci vi avesse fatto soggiorno, ma forse erano solo dicerie di popolo.
Il tronfio personaggio, sotto al completo gessato blu, indossava una candida camicia inamidata e un papillon in tinta. Un cappello completava l’abbigliamento lussuoso. Camminava roteando il bastone di ebano dal pomello argentato, mentre la gente che lo incrociava, ossequiosa s’inchinava salutandolo e facendo ala al suo passaggio.
Quella mattina, il vecchio orologiaio era, come al solito, dietro al banchetto, intento ad avvitare minuscole viti, che soltanto lui riusciva a distinguere bene, nonostante l’età.
La campanella, posta dietro la porta suonò, e lui alzò lo sguardo verso l’entrata. Non avrebbe mai immaginato la visita dell’illustre Principe.
S’inchinò, uscì dalla sua postazione, andò incontro all’inaspettato cliente, usando tutta la sua arte di venditore.
Il Principe, burbero, non fece molto caso al cerimoniale, agitando la mano, per fermare quel fiume in piena di ossequi e inchini, gli fece capire che non aveva tempo da perdere.
Gli disse che la sua visita era in relazione alla fama dell’orologiaio. Aveva sentito dire che le sue creazioni, fossero molto insolite e che lui aveva doti particolari nel conteggiare il tempo.
Il vecchio, perplesso per tanta stima e fiducia, s’inchinò senza profferir parola.
Il Principe, avanzando d’un passo perso di lui, per farsi meglio udire, gli sussurrò all’orecchio la sua volontà.
Il vecchio sgranò gli occhi, sottolineò che ci avrebbe provato ad accontentare sua signoria,  ma…
Il nobile, squadrandolo con risolutezza, non ammise incertezze e salutandolo con una minima alzata della tesa del cappello, uscì, facendo tintinnare di nuovo la campanella.
Il vecchio restò perplesso per un po’ a guardare il vuoto, chiedendosi il perché della strana richiesta e come avrebbe potuto accontentare il suo illustre, novello, cliente.
Passarono un po’ di giorni e nella botteguccia arrivò un pacco tanto atteso. Il vecchio orologiaio, aveva ordinato la cassa dell’orologio, che doveva essere dei tre colori dell’oro.
La cipolla dell’orologio da taschino, perché questo era stato ordinato di fare, era tutta d’oro giallo. il quadrante d’oro rosa, la catena di oro bianco.
Sul coperchio apribile, della cassa dell’orologio, vi erano incastonate tre gemme, un granato, un topazio e un diamante che riprendevano i colori dell’oro. All’interno, l’orologiaio, aveva fatto incidere il motto:  “Nello spazio ogni punto è il centro. Nel tempo qualunque momento è il presente, è infinito” e per farcelo entrare, in quello spazio ristretto era stato inciso in un carattere minuscolo.
Il vecchio, aprì delicatamente il meccanismo della cassa dell’orologio e incominciò ad assemblare le ruote dentate, il bilanciere e i meccanismi che avrebbero fatto in modo di far girare le sfere.
La scelta di queste ultime, gli impegnò una settimana.
La richiesta singolare del Principe, doveva essere eseguita ma questo comportava delle scelte molto particolari.
Indossò le sue mezze maniche nere, inforcò gli occhialini a pinza e prese dei registri che teneva sotto chiave in un cassetto e della cui esistenza era a conoscenza soltanto lui.
Cominciò a scorrere la lunga lista di numeri e nomi.
Durante la sua attività egli aveva regolato centinaia di orologi da polso, pendole, cucù, orologi da taschino, da parete e una volta persino un orologio da giardino incastonato in una fontana. Era l’eterno scorrere dell’acqua che ne faceva oscillare il pendolo ma ogni tanto, la ruggine s’accumulava ed esso, rallentando con le giunture doloranti, pian piano si fermava ad una precisa ora.
Il vecchio allora, andava sul posto, lo ripuliva amorevolmente e lo faceva ripartire come se nulla fosse.
Di tutti questi orologi, ne aveva segnato segretamente i tempi. C’era quello che andava cinque minuti indietro, quello che correva troppo e anticipava il tempo, quello che s’era rassegnato fermandosi senza più fiato.
Il contabile del tempo, annotava, sommava e sottraeva. Minuti si sommavano ai secondi, ore si sottraevano ai giorni. Ognuno, nel registro, aveva a fianco il nome del proprietario.
I conti aveva sempre quadrato, al centesimo, anzi al nano secondo.
Per poter esaudire l’insolita e complicata richiesta, decise di fare, quello che nessun contabile dovrebbe fare: rubacchiare qua e là qualche piccola cifra. Ci aveva pensato tanto, con riluttanza aveva concluso che non c’era altra soluzione. Accontentare l’imperiosa richiesta del nobile, richiedeva un grosso sacrificio da parte sua e di tutti gli ignari abitanti del paese.
Cominciò col sottrarre tre minuti al lattaio, chi vuoi che se ne sarebbe accorto di un minimo ritardo nelle consegne?
Per un po’ di tempo, infatti, nessuno ci badò. Fu poi la volta del banchiere, a cui sottrasse due minuti e sei secondi da tutti gli orologi della filiale, che sommati insieme, fecero la bella cifra di dieci minuti tondi.
Poi toccò al parroco, gli sottrasse cinque minuti e venti secondi. In fondo non era mica la fine del mondo, pensò il contabile, se la messa posticipava un poco.
Sulla levatrice ebbe parecchi scrupoli. La data di nascita, poteva essere importante per il futuro neonato, c’erano di mezzo di astri, probabili questioni legali sull’eredità e cose che al momento non gli venivano in mente ma sicuramente avrebbero fatto la differenza.
Contò e ricontò i minuti carpiti. I conti non quadravano e il principe incombeva con la sua presenza, annullando ogni scrupolo di coscienza.
Con la matita in una mano e la gomma nell’altra, cancellò da una parte, sottraendo e aggiunse dall’altra, scrivendo la cifra con fare furtivo.
Ora tutto quadrava. Così pensò il contabile, prima di chiudere in una bella scatola, foderata di velluto blu, il tanto sospirato orologio da taschino. Pazientemente attese che il Principe, lo mandasse a ritirare.
Il vecchio orologiaio, fu molto impegnato nei giorni che seguirono, il lavoro s’era accumulato e non badò al tempo che passava, finchè un giorno cominciò la fila di reclami, davanti al suo negozio.
Per primo arrivò il lattaio, a cui i clienti rimproveravano il ritardo mattutino nella consegna del latte. Loro, ci rimettevano gli orologi, perché era sempre stato preciso, ma avevano accumulato ritardi a loro volta.
Poi arrivò il banchiere. E’ vero che tutti gli orologi segnavano la stessa ora, in filiale, ma s’era accorto, quasi subito, confrontandoli con il suo orologio da taschino, che tutti ritardavano due minuti e sei secondi. Fu lì che il vecchio vacillò per la dimenticanza. L’orologio da taschino gli era proprio sfuggito.
E poi fu la volta del parroco che era inseguito dagli irriducibili dell’Ave Maria, inferociti per il ritardo nel suono delle campane.
La levatrice inveiva, perché gli aveva fatto perdere delle clienti importati, che avevano rischiato la vita per i suoi ritardi ma fu interrotta da una chiamata improvvisa, la moglie del lattaio era entrata in travaglio.
Per tutti, il vecchio aveva una risposta plausibile e un numero imprecisato di scuse. Nessuno sospettò però il vero motivo e il vecchio la fece franca, per il tempo necessario.
Il Principe gli fece riferire, che il pagamento del lavoro, sarebbe stato posticipato alla verifica del perfetto funzionamento del meccanismo.
Il vecchio contabile del tempo, dovette aspettare duecento giorni, quattro ore e sedici minuti. Questi ultimi sottratti al suo orologio per far quadrare i conti: la scelta gli fu fatale, erano gli ultimi istanti di vita che gli erano rimasti.
Il Principe la fece franca, non pagò mai il conto e in compenso, ogni duecento giorni, quattro ore e sedici minuti, le sfere del suo orologio e del suo tempo, tornavano indietro di ventiquatt’ore regalando a lui ma sottraendolo agli altri, un giorno di vita.

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Il racconto ha vinto l'XI edizione 2011 del premio S. Leonardo Murialdo.


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