A te navigante...

A te navigante che hai deciso di fermarti in quest'isola, do il benvenuto.
Fermati un poco, sosta sulla risacca e fai tuoi, i colori delle parole.
Qui, dove la vita viene pennellata, puoi tornare quando vuoi e se ti va, lascia un commento.

mercoledì 7 maggio 2014

La più bella

 Dante Gabriel Rossetti




Lontano, lì, dove le stelle baciano l'acqua profumata di salmastro, il loro mantello vellutato e buio, andava cambiando di colore,  pian piano, il rosso si mescolava in svariate sfumature: dal cobalto al viola fino a raggiungere il colore del fuoco ardente. Il carro d'Apollo lasciava dietro di sé una scia infuocata.
Se ne stava immobile, i capelli corvini lievemente mossi dalla prima brezza. Anelli di riccioli ribelli che riflettevano nella loro lucentezza, un colore rossastro,  data dall'olio profumato con cui amava cospargerli. La veste, leggera, le esaltava la figura, fiera, dalle curve accentuate, il seno prosperoso sostenuto da una sottile cintura. Le pieghe della veste si restringevano sui fianchi, fasciandone le cosce tornite e richiudendosi sulle sottili caviglie. Gli occhi del colore del miele guardavano sgomenti.
Socchiuse gli occhi e respirò a fondo l'aria frizzante della notte. Un sospiro inconsapevole partì dalle profondità dell'anima, stritolata da un rimorso postumo.
Tutto era compiuto. 
Nell'inferno infuocato che le si apriva sotto gli occhi sgomenti per l'azione compiuta, ella sapeva che nulla sarebbe più stato come prima.
Le grida, il clangore delle armi era ormai cessato. Solo il rosso imperava in tutto il suo splendore.
Il rosso del carro del Sole che nel suo avanzare, schiariva il suo colore in pennellate decise di giallo.
Il rosso dell'incendio che ancora ardeva poderoso, riempiendo l'aria di scintille e di vento ardente.
Il rosso del sangue che scorreva tra le strade deserte, imbevendo la terra riarsa di vita perduta.
Impietrita guardava tutto questo dall'alto delle mura ancora intatte.
Aveva intrapreso una battaglia silenziosa nel suo intimo. Cercava di liberarsi con violenza di quella cappa che le impediva persino di respirare.
Non era stata sua la colpa di tutto questo ma gliel'avrebbero fatta indossare a forza e nei secoli, il suo nome sarebbe rimbalzato come un'eco infinita sulle genti future.
Un singhiozzo le strozzò la gola. Come era stato possibile giungere fino all'estremo sacrificio?
I suoi occhi spalancati fissavano vitrei un punto lontano nel tempo.
La festa era al culmine e lei ne era il trofeo. Non era presente, già da tempo sposa di uno dei più potenti re, ignara di tutto, si aggirava annoiata tra le mura soffocanti del palazzo in cui, suo malgrado, era andata a vivere. Lei, regina di uno dei più potenti regni, era considerata la più bella del mondo. Oggetto di passione aveva fatto perdere la testa a uomini ed eroi.  Nessuno però aveva mai considerato ciò che lei gelosamente celava: la fierezza intatta della sua anima, candida. Ella non aveva mai amato. Nessuno dei suoi innumerevoli pretendenti aveva considerato i suoi sentimenti. Era oggetto di passione non essere pensante, una merce di scambio di una dea crudele.
Col tempo aveva imparato a raffinare le sue doti di manipolazione, doveva pur sfruttare a suo vantaggio, quella che aveva sempre considerato la sua dannazione.
Era stata tutta colpa di Afrodite, sì, lei, la dea di quell'amore che continuava a negarle. Capricciosa, volubile, si divertiva a giocare con gli uomini.
La festa era al culmine, il vino scorreva nelle coppe annebbiando le menti, impastando le parole, facendo inciampare i piedi di uomini ed eroi.
Poi, in una nuvola dorata era entrata lei, la Dea. Chissà perché avevano dimenticato d'invitarla. Bellissima nella sua crudeltà. Aveva attuato con astuzia la sua vendetta.
Individuato il più bello, giovane  e vulnerabile,  l'aveva costretto a scegliere lei, mentre pregustava il premio che ne avrebbe ricevuto in cambio.
Lei, la più bella del mondo, oggetto di scambio e di bramosia. Inconsapevole di quello che sarebbe successo, incolpevole di coloro che avrebbero dato la vita per questo.
Era stata guerra, lunga e sanguinosa. Spesse mura l'avevano protetta e resa prigioniera di un uomo bellissimo ma non amato.
Poi, era arrivo lui. Eroe astuto, senza scrupoli, con l'intento di restituire “la merce” al legittimo proprietario, uno dei più potenti re.
Da troppo tempo la questione era rimasta sospesa. Troppi  morti avevano tappezzato il campo di battaglia. Era giunto il tempo di finirla. Di rimettere ogni cosa al suo posto e punire chi si era macchiato per l'affronto fatto.
Fu all'eroe che venne l'idea, semplice ma astuta.
Nessuno volle ascoltare le grida d'avvertimento della figlia del re della città maledetta. Lei aveva letto i segni, invano. Piangeva strappandosi le vesti, neanche suo padre l'ascoltò.
Ora guardava la città bruciare.
La donna, dall'alto delle mura, si strinse nelle spalle. Non era sua la colpa. Voleva finire lo scempio e aveva dato ordine di aprire le porte. L'orrore era entrato ma solo al buio si era palesato.
Un sottile sentimento di vendetta aveva preso possesso di lei. L'avevano rapita suo malgrado, l'avevano costretta a partorire i nipoti del re della città maledetta.
Non era sua la colpa.
Elena socchiuse gli occhi fece un profondo sospiro.
- È giunta l'ora di andare – disse.

4 commenti:

  1. Ti avevo già scritto il mio commento poco fa, ma non lo vedo qui sul blog. Nel dubbio lo riscrivo. Ho trovato il tuo racconto intenso, bello, fluido e intrigante. Sono scivolata senza fatica nei pensieri di Elena, avvolta nelle tue descrizioni. Brava, Carla! Mi fa piacere che una piccola idea (l'incipit che ho scritto io) ti abbia portato a scrivere un racconto così bello (peccato per il contest, avresti fatto faville!) Continua così, ancora tutti i miei complimenti! a presto.
    Loriana

    RispondiElimina
  2. Risposte
    1. Grazie Ginevra Wilde, accolgo con grande piacere la tua visita.

      Elimina