A te navigante...

A te navigante che hai deciso di fermarti in quest'isola, do il benvenuto.
Fermati un poco, sosta sulla risacca e fai tuoi, i colori delle parole.
Qui, dove la vita viene pennellata, puoi tornare quando vuoi e se ti va, lascia un commento.

mercoledì 19 giugno 2013

La regina dei ghiacci





Due dei tre satelliti sorgono sulla pianura. Le ombre, sotto lo scorrere della luce pallida e azzurra delle lune,  assumono strane conformazioni.
Lontano la Bestia emette il suo verso rauco e graffiante.
La ragazza dai capelli corvini è china, scruta la mappa, gli occhi chiusi, annusa l'aria. Le mani vibrano, aperte , ella cerca il segno che le indichi la strada.
È  lungo il viaggio, marcato da passi sempre più pesanti che ne segnano la via percorsa, ma non quella in divenire a lei sconosciuta.
Miira è stanca.
Il vento le asciuga il sudore che scende in gocce fredde dalla fonte. I capelli, molesti, scompigliati dalle raffiche ventose, le vanno parzialmente a coprire gli occhi,  entrano in bocca.
Un vento caldissimo che proviene da sud, lei ne aspira i sentori e capta il pericolo.
La Bestia di nuovo ruggisce.
Il fuoco crepita sopra le pietre e le colora di brace. Miira sa che il tempo sta finendo.
Il mondo è ferito a morte, immerso in un'estate che sembra non finire mai, rovente e maligna.
Era partita da parecchi mesi, da un piccolo borgo a sud che in un passato lontanissimo, era  profumato di zagare e salsedine.
Stanca di parole arroventate da una profonda diffidenza, aveva lasciato l'afa, che s'insinuava nei viottoli, entrava furtiva nelle case, infischiandosene di scuri chiusi. Un caldo umido rendeva putrescenti alghe morte sulla risacca di un mare in bollore.
I capelli corvini, s'inanellavano ribelli sulle spalle, la veste incollata dal sudore le sottolineava il corpo. Occhi pieni di cupidigia indugiavano sulle sue curve di donna acerba. Lo sguardo abbassato di lei,  evitava ogni incrocio. Erano così neri i suoi occhi, che brillavano alla luce accecante della nana bianca, nell'ora di mezzo del primo sole, all'alba della gigante rossa.
La barca rollava sul mare increspato. A fatica vi entrò, tese una moneta al barcaiolo, senza aprire bocca.
Lui remava al ritmo delle onde, lentamente, senza fatica, i muscoli degli avambracci tesi a fendere la resistenza dell'acqua.
Il mare le sussurrava parole lontane, avanti e indietro in una risacca senza tempo. La costa era a qualche centinaia di metri e lei vedeva la rocca in cima alla roccia allontanarsi dalla vista, insieme alla casa natia nel piccolo borgo.
Nessuna nostalgia, nessun rimpianto. Andava a nord, lì dove i venti la conducevano e dove il mare le sussurrava la via.
La stavano aspettando, il richiamo per Miira era forte, sentiva dentro di lei le voci della
razza antica, nata quando le rocce si erano appena solidificate. Loro vivevano lassù, lontani dai feroci invasori antropomorfi, le Bestie, nascoste tra gli alberi rinsecchiti, attaccate ai sanguinarii culti. Sacrifici venivano perpetrati in nome di una divinità maligna, ora piena d'ira, che col suo alito rovente soffiava da tempo su un'antica terra rigogliosa. Una vendetta bramosa di vita che andava placata. Si diceva che il dio, fosse particolarmente grato del sacrificio dei possessori del dono.
Miira, era una di loro.
La sua gente mormorava,  temendola, non comprendeva e presto l'avrebbe venduta alle Bestie.
Procedeva lentamente, respirando l'odore della terra asciutta, ricoprendosi pian piano della polvere alzata dai suoi passi.
Non pioveva da anni ormai, la terra riarsa s'era spaccata.
La veste sfiorava il terreno  e lei ne strappò un lembo, scoprendo i polpacci torniti.
Durante la notte si nascose in un fienile abbandonato, mangiò un pezzo di carne secca che aveva avvolto nel fazzoletto che conteneva i suoi pochi averi. Due monete di rame, un pettine d'osso, uno specchietto sbeccato, vezzi di donna.

Il gallo, lontano aveva cantato una volta. L'alba del primo sole era vicina.
La cercarono in ogni casa del piccolo borgo natio, Miira,  ignara, continuava il suo lunghissimo cammino.
I pochi villaggi che aveva incontrato, erano quasi vuoti. Molte erano state le morti precoci, pochi erano i fuggiaschi.  Qualcuno la notò avanzare, sicura nella strada ma non osò avvicinarla. La fama l'aveva preceduta. La manciata d'uomini la temeva, per ora, più dell'ira delle Bestie e dell'alito arroventato del loro dio.
A nord la temperatura scendeva, i venti erano sempre più gelidi, le piante ancora verdi.  Una linea netta, demarcava le terre aride. Vista dall'alto, si fondeva in due colori netti: il giallo bruno del deserto e il verde del nord.
Pioveva da mesi. I fianchi delle montagne, franavano come burro sciolto sotto l'acqua inarrestabile.
La giovane, senza timori, avanza nel fango, affondando i piedi fradici nel terreno melmoso. I capelli, pesanti e gocciolanti d'acqua gelida, sono incollati ad un volto pallido su cui solo due occhi enormi e neri, spiccano in uno sguardo di sfida.
Cerca un riparo e un mantello per scaldarsi.
Lontano nota un brillio tremolante tra lo scroscio di pioggia.
Si ferma coi sensi all'erta. Annusa l'aria, impone le mani. Ha bisogno di cibo e calore ma non osa avvicinarsi. E' lume di Bestie o di esseri innocui?
Avanza furtiva tra gli alberi del bosco, osservando da lontano. Non c'è ruggito di Bestia.
Tra rami intrecciati per un riparo di fortuna, arde, minuscolo, un fuoco. Accanto, alto e diafano un ragazzo lo ravviva.
Miira sente il suo stomaco stringerla in una morsa di fame. Le giunge alle narici odore di zuppa d'ortica.
Afferra una pietra grande, a malapena riesce a tenerla nella mano destra, è pesante.
Cammina carponi, non emette rumore.
Lui, impone le mani che sente vibrare fortemente e si gira verso la sua direzione.
Lei s'alza, i muscoli tesi e dolenti si rilassano, ha riconosciuto il gesto, è uno come lei.
Non si parlano i due. Lei si siede accanto al fuoco, lui le tende una ciotola di zuppa che con avidità Miira divora, dopo giorni di digiuno.
Yogert rimane silenzioso ad osservare la ragazza dai capelli corvini e dagli occhi di tenebra.
Miira parla, gli chiede se anche lui ha udito le voci e lui annuisce serio.
Lei rabbrividisce, nelle vesti inzuppate e si fa più vicina al fuoco.
Lui le si avvicina. Le pone un mantello di pelle di capraluna e resta col suo braccio sulla spalla di lei, in un gesto naturale. Non si erano mai visti ma la forza è in loro più potente di prima. Lei la percepisce, non si ritrae ma si rannicchia contro di lui.
Gli antichi chiamano, la voce, ora che sono insieme è forte. Le mani vibrano debolmente. Ce ne sono altri coi poteri, lontani ma ne sentono la forza.
Un rumore vicino, lo schiocco di un ramo spezzato. Saltano in piedi i due, senza armi, non servono.
Il ruggito è vicino la Bestia li ha fiutati e deve sacrificarli, prima del sorgere della terza luna. Prima che raggiungano i ghiacci.
I due impongono le mani, le uniscono, la forza scorre nel loro corpo, dalla terra sale e come una saetta li alza. Insieme sono potenti. La Bestia è vicinissima, ne sentono l'afrore selvatico. Alzano le mani verso la luce della seconda luna, che sta sorgendo ora.
La Bestia è sotto di loro, ruggisce con rabbia, rauca.  Le quattro mani, strette tra loro, s'illuminano di una luce pulsante rosacea e con tutta la forza che scorre in loro, scagliano quella luce sulla Bestia.
Essa emette un verso agghiacciante, di dolore, si contorce, cerca di liberarsi da quella cosa che la stritola, poi, avvampa, in un attimo. Un ruggito di morte ed è un mucchio di cenere inzuppata a terra.
Sono salvi. La voce continua potente a chiamarli: gli Antichi, dai poteri telepatici.
Ogni 128 anni, la gigante rossa e la nana bianca, illuminavano insieme il pianeta in una sola alba. Molte di quelle uniche albe erano trascorse. In quel lontano tempo,  gli antichi regnavano come unica razza sul pianeta.
Conoscevano il modo di governare le forze della terra, ma non sconvolgevano ciò che le regolava. Essi vivevano in pace e prosperità.
Una notte, le stelle nel cielo, erano molto più brillanti e numerose. Confuse nel brillio lontano, le astronavi degli invasori.
Gli Antichi percepirono il pericolo, sentirono le forze del pianeta vibrare ma non erano in grado di fronteggiarli, non ebbero il tempo di fuggire.
Un forte vento rovente, li aveva preceduti, distruggendo molta parte del pianeta vivente.
Il clima impazzì. Dapprima venne la pioggia, mista a cenere, calda e bollente.
I mari evaporarono gran parte delle loro acque, uccidendo tutti gli esseri che in essi avevano trovato  una vita. Le alghe e corpi di pesci putridi invasero le sabbie roventi.
Gli alberi divennero scheletri contorti. Mezzo pianeta morì.
Solo alla fine, liberarono le Bestie.
Il loro ruggito rauco, fu l'unico che per molte lune, riempì il silenzio di morte di quella terra martoriata.
Le Bestie, una razza antropomorfa primordiale, assoggettata e resa schiava. Essi non erano di questo mondo.
Obbedivano ai loro padroni, adorandoli come dei. E gli dei alla fine se ne andarono, lasciandone uno soltanto, colui al quale le Bestie,  dedicavano riti agghiaccianti di sacrifici umani.
Gli Antichi che sopravvissero alla catastrofe, ne divennero le prime vittime. Pochi furono quelli che rimasero vivi.
Ci vollero molte lune e innumerevoli albe, prima che riuscissero a raggiungere i ghiacci.
L'unica parte del pianeta non ancora attaccata dall'alito rovente del dio alieno.
Gli Antichi scesero nelle viscere della terra, impararono a sopravvivere e studiarono aspetti delle loro scienze che non avevano voluto approfondire, ritenute negative, portatrici nefaste di guerra.
Il tempo passava lento. Le Bestie unica razza rimasta in superficie.
Nacquero i primi discendenti degli Antichi, gli uomini, ai quali non furono tramandate le conoscenze geodinamiche. I progenitori, pensarono che fosse la decisione più consona a ripopolare un pianeta martoriato, ritenendo tali conoscenze pericolose. Ne avevano visto gli effetti distruttivi nelle mani degli invasori.
Gli uomini, faticosamente costruirono nuove dimore, strapparono aride terre morte, coltivando piante resistenti al calore, ma i raccolti erano sempre molto scarsi, la fame estrema e la sete mostruosa.
Un numero esiguo di uomini, ad insaputa l'uno dell'altro, furono sparsi sulle terre riarse, addestrati a percepire le vibrazioni e i cambiamenti in atto attorno a loro con l'imposizione delle mani. Erano i sacerdoti del segreto degli Antichi.
Essi, avevano potenziato e tramesso a loro le nuove conoscenze acquisite. Con loro comunicavano telepaticamente, qualità che gli uomini non possedevano più. I nuovi sacerdoti, vivevano mescolati agli uomini ma da essi venivano emarginati perché temuti e a volte, per ingraziarsi le Bestie, venivano loro venduti in cambio di viveri.
Il pianeta, non si era più risollevato e stava morendo. Gli Antichi tentarono un ultimo estremo salvataggio convocando, nell'estremo nord, tutti i sacerdoti.
Il Dio dall'alito rovente, che li osservava dall'alto delle galassie, scagliò loro contro il suo esercito di schiavi.

Furono giorni lunghi e di fatica. Miira e Yogert camminavano affiancati. Ogni tanto sondavano l'aria annusandola. Imponevano le mani sentendo i loro simili sempre più vicini.
Il fiato s'era fatto pesante, usciva dalle bocche e dalle narici. Nuvole gelide che scivolavano a terra.
L'acqua incessante, aveva lasciato il posto a radi fiocchi bianchi. I mantelli di capraluna non erano sufficienti a togliere dalle loro membra un gelo che penetrava tra le ossa.
Le conifere alte e slanciate piegavano i rami al peso della neve.
I due giovani si nutrivano di piccoli animali che affamati uscivano dalle tiepide tane in cerca di cibo. Non avrebbero voluto essere portatori di morte ma dovevano sopravvivere.
Le voci s'erano fatte così potenti che coprivano quelle della natura.
Nessuna Bestia aveva più incrociato il loro cammino, non si erano mai spinte così a nord.
E giunsero dove il mare, piatto e solido, rifletteva la pallida luce della gigante rossa ormai allo zenith.
C'erano evidenti tracce di numerose impronte nelle neve e sul ghiaccio lunghe striature di slitta.
Le vibrazioni erano fortissime, il potere che scorreva in loro, immenso.
Miira e Yogert percepirono centinaia di mani tese nell'aria a richiamarli.
Gli Antichi li avevano radunati tutti.
I due ragazzi percepivano centinaia di altri col loro carisma. Poi, arrivò l'alito rovente del dio irato e insieme, le Bestie.
I ghiacci si fusero. Le  slitte, impotenti, venivano inghiottite nell'acqua profonda.
I cani ormai liberi, guaivano di dolore all'attacco delle bestie e l'acqua divenne rossa. Gli uomini sacerdote lottavano tra i flutti, in mezzo a lamine di ghiaccio su cui venivano sbattuti dalla lotta e dalle onde. L'acqua era un groviglio di corpi indistinti, cani, uomini, zampe e arti si agitavano, invano.
I giovani sacerdoti rimasti a riva, imponevano le mani, a centinaia, verso il cielo, concentravano la forza immensa, nascosta nel sottosuolo, per servirne contro il loro nemico antropomorfo.
Le Bestie s'avventarono sui più inermi, quelli che non ancora erano riusciti ad unirsi al gruppo. Li presero tra i boschi, prima del grande ghiaccio. Le loro urla e il loro terrore fu percepito dagli altri più a nord. Lacrime solide di ghiaccio, rotolavano sul volto di Miira, tutto il dolore fu il suo. Tremava, con le mani imposte, non si mosse tra  grida e  sofferenza.
Palle di energia pura si rincorrevano nel cielo arroventato. Colpivano il nemico confuso con gli uomini.
La neve divenne grigia di cenere.
La battaglia infuriò per molti giorni. Gli Antichi andavano urlando ai sacerdoti ordini perentori che solo loro udivano, vibranti, nelle teste.
Non videro mai gli Antichi, nascosti nelle viscere del pianeta.
Miira sentiva una forza mai percepita prendere possesso del suo corpo, scorrerle tra le mani.
I sacerdoti sopravvissuti  la circondarono, le mani alzate e unite.
Lei, la più potente di tutti, infondeva la forza ancestrale.
Poi, fu silenzio e i ghiacci si richiusero.
Miira sorrise alzando il volto al cielo e cadde a terra, stremata.
Yogert la sollevò. Un soave coro, le voci dei liberatori, intonarono  un canto di ringraziamento.
Un stella nel cielo illuminò a giorno la scena. Poi rapida sparì, spegnendosi nell'immenso universo.
La terra per ora era salva.
Miira e Yogert regnarono sui sacerdoti,  anche dopo che l'ultimo degli Antichi scomparve.
Molte albe uniche dovevano passare prima che la loro terra guarisse le profonde ferite.
Ma le Bestie e i loro dei, sarebbero tornati di nuovo?
A loro il compito di vigilare.

Nessun commento:

Posta un commento